mercoledì 6 giugno 2018

Cosa rimane del mito di Che Guevara

Il 9 ottobre 1967, quando i militari boliviani e gli agenti della Cia decisero di uccidere Ernesto
“Che” Guevara de la Serna nel villaggio di La Higuera, nel dipartimento di Santa Cruz, erano convinti che la sua morte sarebbe stata la prova del fallimento dell’impresa comunista in America Latina. Non andò così. Contrariamente alle loro aspettative, la scomparsa di Guevara diventò il mito fondativo per le generazioni successive di rivoluzionari, che s’ispirarono al guerrigliero e cercarono d’imitarlo.
“Come possono andare dietro a un fallito?”, è la domanda che si fanno sempre gli oppositori di Guevara, di Fidel Castro, della rivoluzione cubana e di tutti quelli che hanno cercato di promuovere una rivoluzione socialista in America Latina negli ultimi cinquant’anni. Escono dai gangheri quando vedono giovani di altri paesi, anche del più potente e capitalista del mondo, gli Stati Uniti, indossare magliette con il volto del Che e, peggio ancora, manifestare la loro simpatia per il “guerrigliero eroico”, com’è ricordato ufficialmente a Cuba.
Non capiscono e non hanno mai capito che Guevara diventò un eroe per il modo in cui visse e, soprattutto, in cui morì. Poche altre figure pubbliche contemporanee hanno uguagliato il suo lascito, soprattutto in ambito socialista. Non ci sono magliette con il volto del leader sovietico Leonid Brežnev, dell’albanese Enver Hoxha o del cambogiano Pol Pot.
La creazione del mito di Guevara non è il semplice risultato di una campagna pubblicitaria alla Mad men. Se fosse così, anche “gli altri” avrebbero consolidato alcuni dei loro eroi nell’immaginario popolare, perché in fin dei conti furono loro a vincere la grande battaglia della guerra fredda. Ma dove sono le magliette con la faccia degli argentini Jorge Videla e Alfredo Astiz, o del dittatore cileno Augusto Pinochet?
Per una serie di ragioni, tra cui l’essere coerente con i propri ideali e pronto a morire per quelle idee, buone o cattive che fossero, Guevara andò oltre la cerchia dei suoi seguaci e diventò il guerrigliero per antonomasia. Una metamorfosi che trasformò il suo innegabile fallimento in Bolivia in una fonte d’ispirazione.
Il fatto che Guevara fosse giovane e bello quando morì ha alimentato la sua leggenda. E il fatto che il suo corpo senza vita ricordasse quello di Gesù facilitò la costruzione del mito postumo. Le idee di Guevara, espresse nel saggio Il socialismo e l’uomo a Cuba, probabilmente oggi sono molto meno note ai suoi giovani seguaci rispetto al celebre ritratto di Alberto Korda.
La faccia del “Che” è di per sé un marchio e il simbolo globale di una sfida allo status quo, della ribellione pura, soprattutto giovanile, contro le ingiustizie. È il volto dell’indignazione contro un mondo pieno di disuguaglianze in cui – dicono il volto e l’eredità del guerrigliero – bisogna prendere posizione e, se serve, combattere fino alle estreme conseguenze. Ci sono pochi altri volti in grado di esprimere un messaggio simile.
In parte è per questo che il mito di Guevara è ancora vivo. Si consolidò nell’epoca in cui la tv sostituiva la radio come mezzo di comunicazione di massa, e nascevano la cultura pop e quella del consumismo, in cui “sei quello che indossi” e non necessariamente quello che fai.
Eccoci qui, cinquant’anni dopo, in un mondo in cui il brand è tutto: nel Regno Unito se porti vestiti Burberry sei quasi sicuramente un conservatore; negli Stati Uniti se guidi un’auto Subaru sei un elettore del Partito democratico, forse vegano o quantomeno attratto dal cibo biologico. La maglietta di Guevara dice che hai un atteggiamento di sfida nei confronti del mondo, che non comporta un impegno concreto ma presuppone una presa di posizione. C’è di più. In quest’epoca in cui tutti hanno uno smartphone e passano ore sui social network, Guevara rappresenta un paradosso: è il legame con un mondo reale passato, la dimostrazione concreta che due generazioni fa migliaia di uomini e donne, soprattutto giovani, fecero cose reali per esprimere il loro dissenso. Quella generazione forse ha fallito, ma oggi il suo sacrificio ha qualcosa di romantico.

Parte di una riflessione di Jon Lee Anderson da internazionale.it

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