venerdì 22 giugno 2018

Miguel Diaz-Canel, il nuovo presidente nella continuità

Il Parlamento cubano ha eletto, lo scorso aprile, Miguel Diaz-Canel presidente. Il 57enne succede a Raul Castro, 86 anni, ed è la prima figura istituzionale esterna alla famiglia Castro a guidare il paese.
Diaz-Canel ha ottenuto il 99,83% dei voti.
In precedenza, Diaz-Canel, l'ingegnere 57enne aveva ricoperto il ruolo di ministro dell'Educazione superiore e diretto il Partito Comunista nella provincia centrale di Villa Clara e in quella orientale di Holguin.
Raul Castro lascia la presidenza ma rimane al vertice del partito fino al 2021, quando è in programma il prossimo congresso.
L'arrivo alla presidenza di Miguel Diaz Canel, 58 anni domani, nato un anno dopo l'ingresso dei 'barbudos' all'Avana, non significa la fine della rivoluzione cubana. Nel suo primo discorso dopo l'investitura del Parlamento lo assicura lui stesso, successore di Raul Castro alla guida del Paese, promettendo di dare "continuità alla rivoluzione cubana in un momento storico e cruciale". "La Rivoluzione continua e continuerà - scandisce Diaz-Canel - Oggi iniziamo un mandato al servizio della nazione, arrivo per lavorare, non per promettere qualcosa". Il nuovo presidente cubano dedica quindi "il suo primo pensiero alla generazione storica che ha fatto la rivoluzione", una generazione cui lui continuerà a guardare: "Cuba si aspetta da noi che siamo come loro".
"Solo un lavoro intenso e la dedizione darà nuove vittorie alla patria e al socialismo", ha continuato il nuovo presidente, consapevole delle grandi sfide economiche cui si trova davanti l'isola, che sotto la gestione di Raul Castro ha assistito alle prime riforme ed alle prime aperture verso il mercato. "Qui - ha poi tenuto a precisare, in un messaggio chiaro diretto a quanti forse speravano in un cambiamento del sistema politico - non c'è spazio per una transizione che disconosca l'eredità di tanti anni di lotta". http://www.adnkronos.com/fatti/esteri

mercoledì 6 giugno 2018

Il lato oscuro di CUBA

Il documentario è stato realizzato da Karin Muller, giornalista, cineasta, fotografa e avventuriera nata in Svizzera, che ha attraversato l'Avana con una macchina fotografica. Ha così raccolto immagini della vita quotidiana dei cubani e dei loro bisogni. Questo interessante filmato ci consente di riflettere e imparare un po' di più sull'isola di Cuba.



Cosa rimane del mito di Che Guevara

Il 9 ottobre 1967, quando i militari boliviani e gli agenti della Cia decisero di uccidere Ernesto
“Che” Guevara de la Serna nel villaggio di La Higuera, nel dipartimento di Santa Cruz, erano convinti che la sua morte sarebbe stata la prova del fallimento dell’impresa comunista in America Latina. Non andò così. Contrariamente alle loro aspettative, la scomparsa di Guevara diventò il mito fondativo per le generazioni successive di rivoluzionari, che s’ispirarono al guerrigliero e cercarono d’imitarlo.
“Come possono andare dietro a un fallito?”, è la domanda che si fanno sempre gli oppositori di Guevara, di Fidel Castro, della rivoluzione cubana e di tutti quelli che hanno cercato di promuovere una rivoluzione socialista in America Latina negli ultimi cinquant’anni. Escono dai gangheri quando vedono giovani di altri paesi, anche del più potente e capitalista del mondo, gli Stati Uniti, indossare magliette con il volto del Che e, peggio ancora, manifestare la loro simpatia per il “guerrigliero eroico”, com’è ricordato ufficialmente a Cuba.
Non capiscono e non hanno mai capito che Guevara diventò un eroe per il modo in cui visse e, soprattutto, in cui morì. Poche altre figure pubbliche contemporanee hanno uguagliato il suo lascito, soprattutto in ambito socialista. Non ci sono magliette con il volto del leader sovietico Leonid Brežnev, dell’albanese Enver Hoxha o del cambogiano Pol Pot.
La creazione del mito di Guevara non è il semplice risultato di una campagna pubblicitaria alla Mad men. Se fosse così, anche “gli altri” avrebbero consolidato alcuni dei loro eroi nell’immaginario popolare, perché in fin dei conti furono loro a vincere la grande battaglia della guerra fredda. Ma dove sono le magliette con la faccia degli argentini Jorge Videla e Alfredo Astiz, o del dittatore cileno Augusto Pinochet?
Per una serie di ragioni, tra cui l’essere coerente con i propri ideali e pronto a morire per quelle idee, buone o cattive che fossero, Guevara andò oltre la cerchia dei suoi seguaci e diventò il guerrigliero per antonomasia. Una metamorfosi che trasformò il suo innegabile fallimento in Bolivia in una fonte d’ispirazione.
Il fatto che Guevara fosse giovane e bello quando morì ha alimentato la sua leggenda. E il fatto che il suo corpo senza vita ricordasse quello di Gesù facilitò la costruzione del mito postumo. Le idee di Guevara, espresse nel saggio Il socialismo e l’uomo a Cuba, probabilmente oggi sono molto meno note ai suoi giovani seguaci rispetto al celebre ritratto di Alberto Korda.
La faccia del “Che” è di per sé un marchio e il simbolo globale di una sfida allo status quo, della ribellione pura, soprattutto giovanile, contro le ingiustizie. È il volto dell’indignazione contro un mondo pieno di disuguaglianze in cui – dicono il volto e l’eredità del guerrigliero – bisogna prendere posizione e, se serve, combattere fino alle estreme conseguenze. Ci sono pochi altri volti in grado di esprimere un messaggio simile.
In parte è per questo che il mito di Guevara è ancora vivo. Si consolidò nell’epoca in cui la tv sostituiva la radio come mezzo di comunicazione di massa, e nascevano la cultura pop e quella del consumismo, in cui “sei quello che indossi” e non necessariamente quello che fai.
Eccoci qui, cinquant’anni dopo, in un mondo in cui il brand è tutto: nel Regno Unito se porti vestiti Burberry sei quasi sicuramente un conservatore; negli Stati Uniti se guidi un’auto Subaru sei un elettore del Partito democratico, forse vegano o quantomeno attratto dal cibo biologico. La maglietta di Guevara dice che hai un atteggiamento di sfida nei confronti del mondo, che non comporta un impegno concreto ma presuppone una presa di posizione. C’è di più. In quest’epoca in cui tutti hanno uno smartphone e passano ore sui social network, Guevara rappresenta un paradosso: è il legame con un mondo reale passato, la dimostrazione concreta che due generazioni fa migliaia di uomini e donne, soprattutto giovani, fecero cose reali per esprimere il loro dissenso. Quella generazione forse ha fallito, ma oggi il suo sacrificio ha qualcosa di romantico.

Parte di una riflessione di Jon Lee Anderson da internazionale.it