Una riflessione dopo la mia ultima visita
A Cuba, la priorità quotidiana non è il lavoro, la scuola o i progetti per il futuro. È semplicemente riuscire a mangiare. L'isola, un tempo simbolo di resistenza rivoluzionaria, oggi è piegata da una crisi economica e sociale senza precedenti. Per milioni di cubani, la domanda più urgente è diventata: “Cosa mangerò oggi?”
La fame quotidiana
Gli stipendi statali, che rappresentano ancora la principale fonte di reddito per gran parte della popolazione, si aggirano intorno ai 9 o 10 dollari al mese. Con questa cifra, non è possibile acquistare nemmeno un pezzo di carne. I mercati sono vuoti, i prezzi fuori controllo, e la moneta locale ha perso ogni potere d’acquisto. Chi può permettersi di mangiare decentemente? Soltanto chi riceve rimesse dai familiari emigrati all’estero, oppure chi lavora nel turismo, un settore dove le propinas (le mance) rappresentano l’unico vero ossigeno economico.
Lavorare, ma per cosa?
In questo contesto, il valore del lavoro è stato svuotato. Sempre più cubani si pongono la domanda: “Perché lavorare, se non riesco nemmeno a garantirmi un pasto? Se il lavoro non mi dà né dignità, né sostentamento?” La frustrazione cresce, soprattutto tra i giovani, molti dei quali sognano solo una cosa: andarsene. L'emigrazione è diventata una valvola di sfogo. Dal 2021, centinaia di migliaia di cubani hanno lasciato l'isola, affrontando rotte pericolose verso gli Stati Uniti, l’Europa o l’America Latina. Un esodo silenzioso che sta svuotando il paese delle sue forze più giovani e preparate.
Blackout e buio sociale
Come se non bastasse, la crisi energetica aggrava la situazione. Gli apagones – blackout elettrici che durano anche più di 10 ore al giorno – sono ormai parte della routine quotidiana. Senza elettricità, il cibo si deteriora, l’acqua scarseggia, le scuole chiudono, le attività economiche si fermano. La vita si spegne, letteralmente. Inoltre il governo statunitense, da parte sua, ha inasprito le sanzioni, aggravando ulteriormente la situazione.
La domanda sospesa: quando il cambiamento?
La realtà è che il sistema politico cubano si regge su un equilibrio precario. Il malcontento popolare è evidente, le proteste crescono – nonostante la dura repressione – e il popolo chiede dignità, libertà e pane. La sola via d’uscita possibile sembra una transizione democratica, che permetta al paese di aprirsi a nuove opportunità, investimenti, riforme profonde. Ma quando? E soprattutto: chi guiderà questo cambiamento? Oggi, la risposta è ancora incerta. Quel che è certo è che il tempo stringe. Cuba non può più permettersi l’attesa.